Il Rinascimento italiano: l’alba di una nuova umanità

Il movimento nato a Firenze agli inizi del 1400, destinato a rivoluzionare la storia del pensiero e delle arti nel mondo occidentale, prende il nome di Rinascimento. Il mutamento iniziato in quel periodo, che viene convenzionalmente protratto fino alla metà del 1500, era destinato a incidere sul modo di pensare, sul comportamento, sulle conoscenze scientifiche, letterarie e artistiche. Il presupposto fondamentale era la centralità conferita all’essere umano, che acquistava di nuovo considerazione come creatura eccezionale fra le altre in ogni suo aspetto, sia spirituale che materiale. Fu lo storico svizzero Jacob Burckhardt, nell’800, a fondare il concetto storiografico di Rinascimento, evidenziando il debito che il mondo moderno aveva contratto nei confronti degli intellettuali del ‘400, che restituirono all’umanità la sua consapevolezza di unicità. Per la verità, il termine “rinascita” era già stato usato da Giorgio Vasari nel 1550, inteso come superamento della barbarie medievale e recupero dei fasti della civiltà greco-romana: si tratta, dunque, di uno dei rari casi in cui il termine identificativo venne coniato nell’epoca stessa a cui si riferisce, indice della consapevolezza da parte dei suoi protagonisti di vivere in un’era radicalmente diversa dai secoli bui che l’avevano preceduta. Oggi, gli storici tendono a ridimensionare l’idea di uno stacco netto rispetto al Medioevo, evidenziando come molteplici aspetti del mondo medievale sopravvivano nel corso del ‘400 e oltre. Tuttavia, è innegabile che la nuova concezione dell’essere umano venuta alla luce in quel tempo abbia gettato le basi per lo sviluppo del mondo moderno che sarebbe arrivato. Capostipite del Rinascimento fu l’Umanesimo, movimento nato nel 1300 sempre nelle città italiane, in special modo a Firenze con Petrarca, che ebbe nella filologia il suo fulcro: la diffusione dei testi classici, sopravvissuti grazie all’attività degli amanuensi negli scriptoria , era stata molto ridimensionata e, soprattutto, era venuta meno la loro correttezza, per gli errori trascrizione e per la censura. Gli umanisti si dedicarono alla ricerca dell’autenticità e della corretta interpretazione dei testi antichi, cooperarono fra loro, fondarono circoli e misero in circolazione le nuove idee. Ciò che ne conseguì fu un rinnovato interesse verso le humanae litterae , in contrapposizione alle divinae litterae che fino a quel momento avevano predominato: storia, filosofia, retorica, eloquenza e grammatica, studi alla base per la formazione della coscienza critica e libera. Ma a essere recuperati furono anche trattati di carattere scientifico, riguardanti matematica, logica e geometria. Gli studia humanitatis sono mezzi per formare individui completi, utili sia a sé stessi che alla comunità: non è un caso che molti intellettuali fossero politicamente impegnati. Soprattutto grazie alla diffusione del sapere scientifico si riacquistò fiducia nel dominio umano sugli elementi; matematica, geometria e fisica erano inevitabilmente connessi all’aspetto pratico della vita e iniziarono a divenire parti integranti della formazione del potente ceto borghese in ascesa. Il nuovo essere umano che cominciava a delinearsi era una figura profondamente diversa da quella passiva medievale: capace di autodeterminarsi con il suo sapere, era in grado di opporsi alla Fortuna, di modificare la natura a suo piacimento. La valorizzazione di tutte le sue potenzialità, includeva, ovviamente, anche la sfera materiale e fisica: il piacere mondano non era più peccaminoso, ma legittimo. Vennero esaltati, oltre all’impegno civile, l’individualità, il successo personale, la ricchezza e la competitività, valori propri del mondo mercantile. Naturalmente questa nuova coscienza era propria solo di una cerchia ristretta di nobili e alto-borghesi, essendo il popolo totalmente escluso dall’istruzione e dalla vita culturale. Ma proprio questo contesto elitario costituì l’ambiente di nascita e formazione di gran parte degli umanisti. Gli artisti del ‘400, personalità come Brunelleschi, Donatello e Masaccio, che rivoluzionarono il mondo delle arti, condivisero la stessa formazione del loro pubblico e dei loro committenti: una discreta conoscenza del latino, ampia conoscenza delle tematiche religiose, grande padronanza della geometria e della matematica ma, soprattutto, una grande competenza tecnica. È proprio Masaccio, interiorizzando le novità intellettuali e pratiche del suo tempo, a fornirci uno degli esempi più maestosi di rappresentazione del pensiero rinascimentale nel suo capolavoro, La Trinità , affrescato nel 1428 a Santa Maria Novella: in uno scenario architettonico tanto perfetto da sembrare una vera cappella, il tema sacro della divinità una e trina è reso in termini di realismo delle figure e razionalità degli spazi, coinvolgendo lo spettatore grazie al prospettiva, che coincide con il punto di vista di quest’ultimo, che viene reso partecipe anche dallo sguardo e dal gesto che gli vengono rivolti da Maria accanto alla croce.

(immagine da Wikipedia)

Masaccio,_trinità

Riflessioni sui giovani e la cultura moderna

Una considerazione sui giovani e il lavoro culturale che ho scritto sul giornale indipendente La Miniera:

La società contemporanea fa crescere noi giovani con l’aspirazione all’inseguimento di grandi miti. E uno dei più grandi è sicuramente la ricerca della realizzazione individuale, una realizzazione che passa imprescindibilmente per il lavoro e, nello specifico, il lavoro pratico , un posto stabile, inserito in una determinata gerarchia, con una sicura remunerazione. Sicché, se una ragazza o un ragazzo, esattamente come me, avessero la malsana idea di dichiarare di avere ambizioni nel campo artistico per il loro futuro, troverebbero immediatamente una schiera di parenti, amici di parenti e conoscenti, pronti a fare del loro meglio per scoraggiarli e stroncare sul nascere le loro aspirazioni. “Bisogna stare con i piedi per terra”, “Devi frenare la fantasia”, “Devi trovare un vero lavoro”, sono di norma i tormentoni che fanno parte del repertorio di frasi sfoderate per dimostrare quanto avere un’indole artistica, creativa o fantasiosa sia quanto di più biasimevole e vergognoso si potesse affermare di possedere. “Il mondo non è fatto per l’arte. Bisogna capire che si campa con altro, facendo la gavetta, trovando un posto sicuro. Dopo, magari, a tempo perso, si pensa a fantasticare”. Ecco a cosa si riduce, di regola, l’inclinazione d’animo dei giovani sensibili: un fastidioso sbaglio, un’inutile miraggio. E così il ragazzo o la ragazza in questione, preda dello scoraggiamento e della disillusione prima ancora di aver iniziato a muovere i primi passi in quel mondo di cui aspira di far parte, decide di dedicarsi a tutt’altro, studiando cose per le quali non prova il minimo interesse, finendo nella trappola di un’occupazione mai voluta che alimenta la sua infelicità, nella speranza di raggiungere, un giorno, quel “tempo perso” da occupare con ciò che davvero costituisce la sua felicità. Si è parlato spesso, negli ultimi tempi, della disastrosa condizione culturale del nostro paese, in cui il tasso di ignoranza ha raggiunto livelli spaventosi, in cui la cultura è divenuta, nel migliore dei casi, qualcosa di estraneo alla vita quotidiana e nel peggiore qualcosa appartenente a un’élite distante, incomprensibile, impenetrabile. Si biasimano solitamente i giovani per la loro mancanza di interesse verso la lettura, verso l’arte, si scherniscono per la loro ignoranza e la loro grettezza. Ma la responsabilità per la loro condizione è imputabile esclusivamente ai giovani stessi? Se un ragazzino afferma con entusiasmo di voler fare lo scrittore, o il poeta, o il pittore e ciò che riceva in risposta è uno sprezzate e quasi compassionevole: “Si, ma di lavoro vero che vuoi fare?”, possiamo stupirci se in futuro quel ragazzino diventerà arido e disilluso? Nel nostro Paese è certamente necessario un cambio di prospettiva. Se i giovani non frequentano i musei, se rifuggono le biblioteche, bisogna ricercare in primis la causa di questo fenomeno. E credo sia rintracciabile, in parte, nella mentalità pragmatica e a senso unico dei loro educatori e delle loro figure di riferimento. Le generazioni che ci hanno preceduto hanno progressivamente smantellato l’importanza e il prestigio che il lavoro culturale riveste nella nostra società, tanto che nella loro concezione esso non viene più neppure inserito nella categoria del lavoro. Ma ciò che è stato dimenticato (e che ha inevitabilmente portato all’Italia attuale, culturalmente disastrata), è che il lavoro nell’ambito intellettuale è imprescindibile per uno sviluppo appropriato della comunità, per la costruzione di un futuro che non sia un asettico mondo lanciato verso lo sviluppo materiale fine a sé stesso. Incentivare le inclinazioni puramente artistiche dei ragazzi e delle ragazze potrebbe in sostanza essere una panacea per molti mali che affliggono da troppo tempo il nostro Paese. Una riscoperta e una fioritura dell’estro creativo delle giovani generazioni, nonché il ritorno alla considerazione dell’attività intellettuale come vero e proprio lavoro, dotato di valore e dignità, andrebbe perseguita da tutti, a cominciare dalla politica per finire nelle famiglie. Non è un caso che questa concezione della cultura può essere trovata nella nostra Costituzione, impressa da coloro che lavorarono in vista della costruzione di uno Stato nuovo e migliore: essi definirono il lavoro come qualsiasi attività o funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.

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Due chiacchiere con gli autori: ALESSANDRO TROISI

Intervista dal blog “IlsegnalibrodiDeborah”

Il SegnaLibro di Deborah

Oggi voglio dare spazio ad un giovane scrittore, ALESSANDRO TROISI, che lo scorso maggio ha pubblicato il suo romanzo d’esordio con Newton Compton Editori, intitolato “La biblioteca del diavolo“, un romanzo storico incentrato sull’affascinante tema dell’Inquisizione.

Conosciamolo meglio.

A soli 22 anni hai vinto un concorso letterario che ti ha portato a pubblicare il tuo primo romanzo con una casa editrice molto importante nel panorama nazionale. Puoi raccontarci qualcosa di te? Come nasce la tua passione per la scrittura?

Di me non credo ci sia molto da dire: sono un ragazzo come tanti altri, amo i libri e il cinema, frequento l’università e sono parecchio smemorato e con la testa fra le nuvole. La mia passione per la scrittura è esistita da quando ho memoria: da bambino adoravo immergermi nei libri, smarrirmi fra le loro pagine, vivere le storie che raccontavano. Trovo meravigliosa la capacità dei libri…

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